Questa piccola tela, raffigurante Santa Francesca Romana e l’angelo, è tra le opere più preziose e intriganti dell’intera collezione d’arte della Basilica benedettina di San Pietro. A lungo attribuita al Caravaggio, è stata riferita da Roberto Longhi a Giovanni Antonio Galli (detto lo Spadarino), un raffinato interprete del linguaggio del Merisi. Dello Spadarino si conserva in Umbria anche un’altra opera, una Cena in Emmaus nella Chiesa di Santa Maria Assunta ad Arrone. Spadarino replicò il tema della Santa Francesca Romana in almeno tre occasioni: conosciamo la versione conservata presso la Banca Nazionale del Lavoro di Roma (già in collezione Barberini, quindi in collezione Almagià), la versione visibile presso Palazzo Rosso a Genova e la versione in collezione privata londinese.
Il dipinto è elencato tra i beni di proprietà dell’abate Leone Pavoni. Appare indubitabile un’adesione dello Spadarino al cosiddetto «metodo manfrediano», una declinazione semplificata e addolcita dello stile caravaggesco messa a punto da Bartolomeo Manfredi. L’iconografia di Santa Francesca Romana si diffonde soprattutto a partire dal 1608, data della sua canonizzazione al tempo del pontificato di Paolo V Borghese. La sua vita di madre esemplare e il suo impegno per il prossimo la resero ben presto oggetto di particolare devozione. Viene di solito rappresentata, come in questo caso, con l’abito nero e il velo bianco della congregazione. Davanti a lei un angelo custode regge un libro aperto sul quale è trascritto un brano dell’Ufficio della Vergine (Salmi 73, 23-24): «Tu mi hai preso per la mano destra. Mi hai guidato con il tuo consiglio e poi mi hai accolto nella tua gloria». Il ravvicinatissimo primo piano ritrae lo scambio di sentimenti affettuosi tra la santa e l’angelo, che fa dello Spadarino un pittore della realtà.